29 Novembre 2023
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Cappella di Sansevero

Cappella Sansevero


La Cappella Sansevero (detta anche chiesa di Santa Maria della Pietà o Pietatella) è tra i più importanti musei di Napoli. Situata nelle vicinanze della piazza San Domenico Maggiore, questa chiesa, oggi sconsacrata, è attigua al palazzo di famiglia dei principi di Sansevero, da questo separata da un vicolo una volta sormontato da un ponte sospeso che consentiva ai membri della famiglia di accedere privatamente al luogo di culto.

La cappella ospita capolavori come il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino, conosciuto in tutto il mondo per il suo velo marmoreo che quasi si adagia sul Cristo morto, la Pudicizia di Antonio Corradini e il Disinganno di Francesco Queirolo, ed è nel suo insieme un complesso singolare e carico di significati.[4][5] Essa ospita anche numerose altre opere di pregiata fattura o inusuali, come le macchine anatomiche, due corpi totalmente scarnificati dove è possibile osservare, in modo molto dettagliato, l'intero sistema circolatorio.

Museo della Cappella Sansevero

Ubicazione

Oltre a essere stato concepito come luogo di culto, il mausoleo è soprattutto un tempio massonico carico di simbologie, che riflette il genio e il carisma di Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero, committente e allo stesso tempo ideatore dell'apparato artistico settecentesco della cappella.
Storia
Mentre una leggenda vuole che la chiesa sia stata eretta su un preesistente antico tempio dedicato alla dea Iside, un'altra, riportata nel 1623 da Cesare d'Engenio Caracciolo nel suo Napoli Sacra, narra che un uomo, ingiustamente arrestato, veniva tradotto verso il carcere quando, transitando lungo il muro della proprietà dei Sansevero, si votò alla Santa Vergine. Improvvisamente, parte del muro crollò, rivelando un dipinto (quello posto nella cappella in cima all'altare maggiore) proprio della Vergine invocata, una pietà che darà poi il nome alla chiesa, intitolata appunto a Santa Maria della Pietà.[9][10] La devozione dell'arrestato non fu riposta invano giacché, poco tempo dopo, ne venne riconosciuta l'innocenza. Scarcerato, l'uomo, memore del miracolo, fece restaurare la Pietà, disponendo che al suo cospetto ardesse per sempre una lampada in argento.[9]

Il luogo sacro divenne presto meta di pellegrinaggio popolare e conseguente oggetto di invocazioni. Anche il duca di Torremaggiore, Giovan Francesco di Sangro colpito da grave malattia si votò a questa Madonna e in seguito avendo recuperato la salute fece erigere la piccola cappella di Santa Maria della Pietà, comunemente detta la Pietatella.

Secondo studi recenti, la vera origine della cappella sarebbe invece da far risalire all'omicidio, compiuto nella notte tra il 16 e il 17 ottobre 1590 da Carlo Gesualdo da Venosa, in cui morirono Maria d'Avalos, moglie di Carlo Gesualdo, e l'amante di lei Fabrizio Carafa, figlio di Adriana Carafa della Spina, moglie in seconde nozze di Giovan Francesco di Sangro e prima principessa di Sansevero. In conseguenza di questo evento luttuoso, la madre di Fabrizio Carafa avrebbe fatto edificare la cappella, pensandola come voto alla Madonna per la salvezza eterna dell'anima del figlio. A riprova di tale ipotesi, l'iscrizione in latino «Mater Pietatis», presente sulla volta della Pietatella e contenuta in un sole raggiante, rappresenterebbe il voto di dedica dell'edificio alla Madonna.

Qualunque sia stata la sua origine, è accertato che i lavori edili per la costruzione della chiesetta gentilizia iniziarono nel 1593, come si deduce da alcune polizze in possesso del Banco di Napoli. Già venti anni più tardi Alessandro di Sansevero (figlio di Giovan Francesco), Patriarca di Alessandria e Arcivescovo di Benevento, decise di ampliare la preesistente, piccola costruzione, per renderla degna di accogliere le spoglie di tutti i di Sangro, come testimoniato dalla lapide marmorea datata 1613 posta sopra l'ingresso principale dell'edificio.




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Nel Seicento
Dal momento che l'assetto del tempio gentilizio venne riorganizzato da Raimondo di Sangro nel Settecento, ben poco rimane della Pietatella del XVII secolo. Il restauro settecentesco mantenne inalterate le dimensioni perimetrali e quattro dei mausolei laterali. Oltre a ciò, dell'originale cappella seicentesca è rimasta solo la decorazione policroma dell'abside e quattro statue.

Grazie a documenti dell'epoca, tuttavia, ci è dato sapere che già nel Seicento la cappella disangriana doveva essere caratterizzata da un elevato valore artistico. Basti pensare che Pompeo Sarnelli, nella sua Guida de' forestieri, curiosi di vedere, e d'intendere le cose più notabili della regal città di Napoli, e del suo amenissimo distretto, la descrisse come:

«[...] grandemente abbellita con lavori di finissimi marmi, intorno alla quale sono le statue di molti degni personaggi di essa famiglia co’ loro elogi»



Appartengono alla fase seicentesca della cappella il monumento al primo principe di Sansevero Giovan Francesco di Sangro, realizzato probabilmente da Giacomo Lazzari nella prima metà del XVII secolo e collocato nella seconda cappella laterale sulla sinistra; la statua del secondo principe Paolo di Sangro, di incerta attribuzione e situata nella prima nicchia sulla destra;[18] il monumento a Paolo di Sangro quarto principe di Sansevero che si trova nella prima nicchia sulla sinistra, opera del 1642 di Bernardo (o Bernardino) Landini e Giulio Mencaglia; e il monumento al Patriarca di Alessandria Alessandro di Sangro, situato nel lato sinistro della cappella nei pressi dell'altare e opera di un artista ignoto.

Il Settecento
La sistemazione seicentesca della cappella fu stravolta a partire dagli anni quaranta del Settecento, quando il principe Raimondo di Sangro iniziò ad ampliarla e a commissionare diverse opere d'arte con cui arricchirla, al fine di creare un luogo che testimoniasse la grandezza del suo casato.[13]

Negli anni successivi, il principe Raimondo ingaggiò artisti di fama internazionale quali Giuseppe Sanmartino, Antonio Corradini, Francesco Queirolo e Francesco Celebrano: è in questo periodo che vennero realizzati capolavori come il Cristo velato, il Disinganno e la Pudicizia. Raimondo impiegò buona parte delle sue sostanze, e in più occasioni dovette anche contrarre dei debiti, per portare a compimento la realizzazione della cappella. Era un committente generoso, ma anche molto esigente e spesso dirigeva personalmente i lavori, affinché le opere corrispondessero pienamente al ruolo che era stato loro stabilito all'interno del grande progetto iconografico della cappella. In alcuni casi, fu lo stesso Principe a realizzare anche i materiali utilizzati, come per il cornicione sopra gli archi delle cappelle laterali o per i colori dell'affresco sulla volta.[13]

Alla fine dei lavori, all'esterno della porta laterale della Pietatella fu posta una lapide, che riporta la data del 1767.

«Chiunque tu sia, o viandante, cittadino, provinciale o straniero, entra e devotamente rendi omaggio alla prodigiosa antica opera: il tempio gentilizio consacrato da tempo alla Vergine e maestosamente amplificato dall’ardente principe di Sansevero don Raimondo di Sangro per la gloria degli avi e per conservare all’immortalità le sue ceneri e quelle dei suoi nell’anno 1767. Osserva con occhi attenti e con venerazione le urne degli eroi onuste di gloria e contempla con meraviglia il pregevole ossequio all’opera divina e i sepolcri dei defunti, e quando avrai reso gli onori dovuti profondamente rifletti e allontanati»

Dall'Ottocento in poi
La cappella nell'Ottocento: si notino le varie statue, e il Cristo velato posto ai piedi della Pudicizia. L'autore dello scatto è il fotografo tedesco Giorgio Sommer.La notte tra il 22 e il 23 settembre 1889, a causa di un'infiltrazione d'acqua, crollò il ponte che collegava il mausoleo dei Sansevero con il vicino palazzo di famiglia. A causa di quest'evento, che interessò anche parte della cappella e del palazzo signorile, oltre al camminamento andarono persi gli affreschi sotto il gariglione e il disegno labirintico del pavimento della cappella.

I restauratori si trovarono nell'impossibilità di ripristinare la pavimentazione originale, seriamente danneggiata, e nel 1901 optarono per ripavimentare la cappella in cotto napoletano, mentre lo stemma dei di Sangro al centro del pavimento fu realizzato con smalti giallo e azzurro che riprendono i colori del casato.

In seguito alla sua trasformazione in polo museale nell'Ottocento la cappella, oltre ad accogliere quotidianamente un consistente numero di turisti, cominciò a essere anche utilizzata come spazio per eventi e concerti. Tra le iniziative del 2013 è possibile ad esempio citare:

la rassegna Meravigli Arti, con cui la Pietatella ha ospitato eventi di letteratura, musica e teatro e a un'installazione di arte contemporanea; La recita Paolo Borsellino, essendo stato (liberamente tratta dall'opera di Ruggero Cappuccio), dove un gruppo di attori ha ricordato Falcone e Borsellino, i due magistrati palermitani considerati eroi simbolo della lotta alla criminalità organizzata. A testimonianza dell'alto grado di attrattività che il monumento continua a dimostrare, nel 2013 TripAdvisor ha assegnato alla Pietatella il Travellers Choice Attractions 2013, sulla base delle segnalazioni effettuate sul sito da utenti provenienti da tutto il mondo. La cappella, quindi, è risultata essere il museo italiano più apprezzato dagli utenti del portale, davanti a mete più tradizionali come i Musei Vaticani o la Galleria degli Uffizi di Firenze. Nella speciale classifica dedicata ai siti museali europei, guidata dal Museo del Louvre e del British Museum, la cappella si è invece classificata al nono posto assoluto.

Architettura
La facciata della cappella, che si apre sulla stretta via Francesco de Sanctis, appare semplice e sobria nelle sue linee, caratteristiche tipiche del principio del XVII secolo in cui è ancora vivo lo spirito classicheggiante.[29] È possibile accedere all'interno tramite il grande portale al centro della facciata, sormontato dallo stemma della famiglia di Sangro e dove si trova la lapide di marmo che ricorda i lavori di Alessandro di Sangro, oppure usufruendo della porticina laterale che si affaccia su calata San Severo.

La chiesetta, tipica espressione del barocco napoletano, è di forma rettangolare ed è costituita da una navata unica, verosimilmente risalente al 1593. Lungo le pareti laterali otto archi a tutto sesto, quattro per lato, introducono altrettante cappellette laterali, mentre un ulteriore grande arco separa l'area del presbiterio, situata in fondo alla chiesa e occupata dall'altare maggiore. Al centro dei due lati lunghi, rispettivamente a sinistra e destra di chi entra, si aprono la porta laterale di cui si è già detto e l'accesso alla sacrestia e alla cosiddetta cavea sotterranea

Al di sopra degli archi l'intera lunghezza della cappella è percorsa da un cornicione, realizzato con un mastice ideato dal principe Raimondo, al di sopra del quale si diparte la volta a botte, completamente affrescata dal dipinto realizzato da Francesco Maria Russo conosciuto come Gloria del Paradiso. Alla base della volta, subito sopra il cornicione, si aprono le sei finestre strombate che forniscono luce alla cappella.

Tutte le opere d'arte contenute all'interno della struttura, con l'eccezione di quattro, furono commissionate da Raimondo di Sangro, e a lui si doveva anche la pavimentazione settecentesca, costituita da un intarsio marmoreo bianco e nero simboleggiante un labirinto; alla loro realizzazione hanno contribuito autori come Francesco Celebrano, Antonio Corradini, Francesco Queirolo e Giuseppe Sanmartino

Infine, al di sopra della porta maggiore, è collocata una piccola tribuna, dalla quale partiva il passaggio di collegamento tra la cappella e il Palazzo di Sangro, finemente stuccato, andato distrutto nel citato crollo del 1889.


Progetto iconografico

L'elemento più notevole della Cappella Sansevero è senza dubbio il suo corredo di statue, il quale segue un progetto iconografico attentamente studiato e voluto da Raimondo di Sangro e del quale gli artisti che lavorarono alle diverse opere furono spesso meri esecutori.

Elemento portante di tale progetto sono le dieci statue denominate Virtù, addossate ad altrettanti pilastri, di cui nove dedicate alle consorti di nove membri della famiglia Sansevero e una - il Disinganno - dedicata ad Antonio di Sangro, padre del principe Raimondo.

All'interno delle cappelle laterali e inframmezzati alle statue delle Virtù si trovano invece i monumenti funebri di diversi principi e altri esponenti celebri della casata, compresi lo stesso Raimondo di Sangro e suo figlio Vincenzo, che al momento della realizzazione delle opere erano ancora in vita. La funzione principale della Cappella Sansevero era infatti quella di cappella sepolcrale della famiglia di Sangro e l'intenzione di Raimondo era quella di onorare il proprio casato ed esaltare le virtù e le glorie dei suoi esponenti.[37]

Nell'impianto statuario, e in particolare nelle raffigurazioni delle Virtù, è inoltre possibile notare una serie di significati allegorici, spesso riferiti al mondo della massoneria, di cui Raimondo di Sangro era Gran maestro.

All'interno del progetto del principe Raimondo le Virtù vogliono rappresentare le tappe di un cammino spirituale, paragonabile a quello dell'iniziato massone, che conduca a una migliore conoscenza e al perfezionamento di sé. Parte integrante di questo percorso è il pavimento labirintico, che rappresenta le difficoltà del cammino che porta alla conoscenza.

La quasi totalità delle Virtù è stata modellata secondo le norme iconografiche stabilite da Cesare Ripa nella sua Iconologia, opera particolarmente apprezzata da Raimondo che, tra l'altro, ne finanziò una riedizione in cinque volumi. Esse però non seguono totalmente il modello classico, ma vi introducono alcune novità, ognuna delle quali con un preciso significato.
Nella rappresentazione della Pudicizia - opera dedicata a Cecilia Gaetani, la madre di Raimondo di Sangro - ad esempio la figura femminile velata è vista come un riferimento alla dea egizia Iside, che rivestiva un ruolo importante nella scienza iniziatica. Sempre nella stessa statua la lapide spezzata fa riferimento alla morte prematura della nobildonna, mentre l'incensiere ai piedi della statua ricorda quelli utilizzati durante le cerimonie massoniche. Il ramo di quercia che sembra fuoriuscire dal basamento della scultura è forse un rimando all'albero della conoscenza, mentre un'altra interpretazione lo vede come l'albero della vita.[23][37][38][40]

La cuspide di piramide che si può notare alle spalle della Liberalità, della Soavità del giogo coniugale, della Sincerità e dell'Educazione è un elemento comune nelle raffigurazioni funebri dell'epoca e simboleggia la gloria dei principi.

Un significato legato alla massoneria è visibile anche nel monumento a Cecco di Sangro. La curiosa raffigurazione del guerriero, situato proprio al di sopra della porta di ingresso della cappella, che, armato, esce da una bara, ha portato alla sua interpretazione come quella del guardiano del tempio massonico. Il tema della risurrezione, che si ritrova anche nel Cristo velato, nella Deposizione alle spalle dell'altare maggiore e nel bassorilievo della Pudicizia è inoltre uno dei temi più ricorrenti nella cappella.[42]

Elemento centrale della rappresentazione moderna, il Cristo velato nelle intenzioni del Principe doveva essere collocato nella «cavea sotterranea», insieme ai futuri sepolcri dei Sansevero, e illuminato da lampade perpetue di ideazione del principe Raimondo. È probabile però che l'opera non sia mai stata portata all'interno della cavea.[43]

Opere
La Cappella Sansevero è un concentrato di opere scultoree e pittoriche, e la prima che si nota appena entrati nell'edificio è l'affresco che ne orna il soffitto, noto come Gloria del Paradiso o il Paradiso dei Sangro, opera del poco conosciuto pittore Francesco Maria Russo che, come riportato nell'affresco stesso, lo realizzò nel 1749. Di esso colpisce, a distanza di due secoli e mezzo dalla realizzazione, la brillantezza dei colori, anche in questo caso dovuti all'inventiva di Raimondo di Sangro e alla sua pittura definita «oloidrica».

L'affresco del soffitto termina, in corrispondenza delle finestre, con sei medaglioni monocromi, in verde, con i Santi protettori del Casato: San Berardo di Teramo, San Berardo cardinale dei Marsi, Santa Filippa Mareri, San Oderisio, San Randisio e Santa Rosalia.[46]

Al di sotto di questi, in corrispondenza degli archi delle sei cappelle più vicine all'altare, sono presenti sei medaglioni marmorei, opera di Francesco Queirolo, con le effigi di sei cardinali originari della famiglia di Sangro.

Per l'impianto statuario, il Principe chiamò lo scultore Antonio Corradini, veneto e massone, che riuscì però a ultimare solo le statue della Pudicizia (dedicata alla madre prematuramente scomparsa del principe Raimondo),[23] del Decoro e il monumento dedicato a Paolo di Sangro sesto principe di Sansevero, oltre a lasciare alcuni bozzetti per altre opere. Tra queste figura il Cristo velato, la cui realizzazione passò poi a Giuseppe Sanmartino.

Con riferimento alla planimetria a lato, le opere principali sono così identificabili:

La Cappella Sansevero è un concentrato di opere scultoree e pittoriche, e la prima che si nota appena entrati nell'edificio è l'affresco che ne orna il soffitto, noto come Gloria del Paradiso o il Paradiso dei Sangro, opera del poco conosciuto pittore Francesco Maria Russo che, come riportato nell'affresco stesso, lo realizzò nel 1749. Di esso colpisce, a distanza di due secoli e mezzo dalla realizzazione, la brillantezza dei colori, anche in questo caso dovuti all'inventiva di Raimondo di Sangro e alla sua pittura definita «oloidrica».

L'affresco del soffitto termina, in corrispondenza delle finestre, con sei medaglioni monocromi, in verde, con i Santi protettori del Casato: San Berardo di Teramo, San Berardo cardinale dei Marsi, Santa Filippa Mareri, San Oderisio, San Randisio e Santa Rosalia.

Al di sotto di questi, in corrispondenza degli archi delle sei cappelle più vicine all'altare, sono presenti sei medaglioni marmorei, opera di Francesco Queirolo, con le effigi di sei cardinali originari della famiglia di Sangro.

Per l'impianto statuario, il Principe chiamò lo scultore Antonio Corradini, veneto e massone, che riuscì però a ultimare solo le statue della Pudicizia (dedicata alla madre prematuramente scomparsa del principe Raimondo),[23] del Decoro e il monumento dedicato a Paolo di Sangro sesto principe di Sansevero, oltre a lasciare alcuni bozzetti per altre opere. Tra queste figura il Cristo velato, la cui realizzazione passò poi a Giuseppe Sanmartino.


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